Comakership e Coengineering come modello collaborativo ad alto valore aggiunto: la scelta del partner

Le aziende che collaborano in regime di comakership, nel corso del loro rapporto d’affari realizzano altri obiettivi. Seppur siano da considerarsi secondari rispetto al target prefissato, hanno ugualmente un’importanza strategica fondamentale per la stessa vita competitiva dell’azienda.

In primis si assiste a un incremento del patrimonio di competenze, di conoscenze e di esperienze. Questo sviluppo richiede tempo per strutturarsi e consolidarsi, ma in generale contribuisce ad accrescere il valore di ambedue le aziende: un valore che potremmo ascrivere all’insieme di quegli assets intangibili ma fondamentali per un’impresa.

Articolazione operativa per la realizzazione del processo

La co-makership è dunque una relazione di business piuttosto articolata e con parecchie interfacce, per il cui funzionamento sono necessari alcuni elementi fondamentali. Il rapporto bilaterale coordinato pone problemi nuovi, comportati da un nuovo rapporto interaziendale che i management delle aziende coinvolte devono gestire con cura e convinzione.

Nell’ambito dell’azienda Cliente, sebbene si debba pensare a un coinvolgimento plurivoco, il ruolo centrale di liaison e di guida è svolto dalla funzione Supply Chain Management (SCM).

Essa si trova a svolgere un ruolo più complesso della gestione di una tipica relazione cliente-fornitore, sotto gli aspetti tecnico-operativo e strategico commerciale.

Tecnico-operativo

È necessario un riferimento univoco dell’azienda Cliente nei confronti del co-maker e vice versa. Le attività di co-makership, brevemente riassunte, devono essere organizzate in un programma operativo dedicato che coniughi gli aspetti tecnici con gli obiettivi economici di cost reduction, di implementazione della fornitura, di miglioramento delle performances (rispetto a un progetto specifico verso il mercato esterno, secondo un programma più generale di re-design  o design to cost di prodotto).

Per la gestione di tale attività, che assume la connotazione di un Project Management, SCM si dota normalmente di una figura dedicata -il Purchasing Engineer- con competenze tecniche sufficienti da poter dialogare con gli specialisti della progettazione, e una attitudine a considerare le soluzioni ottenute in ottica economica e negoziale, nei confronti di una parte comunque esterna alla azienda.

Il Purchasing Engineer ha inoltre il compito di selezionare le aziende “co-maker prospect”, in relazione alle esigenze della propria. Una solida esperienza gioca allora un ruolo fondamentale in questa attività. È possibile comunque individuare alcune caratteristiche precipue, che il comaker deve possedere per poter essere considerato tale:

  • Alta specializzazione e significativa esperienza presso clienti di pari esigenze qualitative nella commodity/categoria/disciplina di interesse, in riferimento all’assieme di prodotto selezionato. Il settore nel quale opera il comaker, di contro, potrà non essere necessariamente contiguo a quello della azienda cliente, questo proprio per favorire quel trasferimento di conoscenze applicative derivanti da esperienze diverse.
  • Capacità di engineering della funzione tecnica in grado di effettuare progettazione di dettaglio, utilizzando software compatibili con quelli dell’azienda Cliente – per la condivisione di librerie e standard.
  • Attitudine all’innovazione, quantificabile nel grado di aggiornamento tecnico che caratterizza l’azienda e, ad esempio, nel fatto che il co-maker sviluppi prodotti propri o abbia sviluppato, su incarico, componenti o parti di macchine per conto terzi.
  • Organizzazione produttiva caratterizzata da un effettivo sistema di qualità e programmata con un ‘gestionale’ ERP compatibile con quello della azienda cliente; ciò permette di avere un flusso di supply chain senza soluzione di continuità tra produzione, magazzino e linea di assemblaggio cliente.
  • Disponibilità di un Project Engineer che sia punto di riferimento per il Cliente, coordinatore degli aspetti tecnici e dei programmi esecutivi.
  • Condivisione di una visione a lungo termine per una collaborazione duratura, con l’effettiva disponibilità ad assumere responsabilità sui risultati.
  • Solidità economico- finanziaria che consenta di sostenere programmi operativi articolati.

 

L’individuazione di soggetti con i caratteri sopra menzionati, può non essere semplice. Ancor meno semplice è il processo di ‘inserimento’ del co-maker, nell’azienda Cliente. Ciò richiede un notevole impiego di risorse ed energie, in modo che:

  • Il co-maker comprenda a pieno le funzionalità dell’assieme che dovrà sviluppare, contestualmente al prodotto finale.
  • I gruppi di lavoro delle aziende collaborino in stretta sinergia condividendo le modalità operative (metodi di revisione, codifiche prodotti e materiali, condivisione librerie standard componenti, etc.).
  • Si instauri un sistema di comunicazione efficace tra le parti (incontri, scambi documentali).
  • I target siano ben delineati e chiarificati e lo scopo dell’intervento sia controllato.

Per questa ragione, in particolare se l’azienda Cliente non dispone di un Purchasing Engineer di adeguata seniority, è auspicabile l’intervento di un manager, di estrazione arena produzione, che porti a compimento tale processo di inserimento, anche curando gli aspetti strategico-commerciali della operazione.

Strategico-commerciale

L’interconnessione tra aziende, necessaria per creare una effettiva co-makership, richiede da un lato una valutazione strutturata delle esigenze produttive e ottimizzazione di prodotto della azienda cliente, dall’altro una conseguente implementazione di accordi e forme contrattuali dedicate.

Il primo aspetto, spesso attinente alla riduzione costi[1], può essere declinato con una analisi di quegli assiemi, sotto-assiemi, componenti appartenenti a un prodotto o linea di prodotto che hanno maggior incidenza sul costo standard del prodotto stesso. Tale incidenza, può scaturire da:

  • costi diretti di produzione
  • costi derivanti dalle non conformità (difettosità, rilavorazioni, ritardi nelle consegne).

Quindi con tecniche comparative (ad es. scorecards), si può stilare una matrice che classifichi gli “oggetti target” su cui concentrarsi.

Tra i molti schemi disponibili e sviluppabili (dalla letteratura o dalla pressi aziendale), se ne riporta uno semplificato (fig. 1), che può costituire una base per la fase di impostazione del processo (si noti che le tecniche QFD, o Design to Manufacturing, abbiano altri schemi specifici anche in questo caso variamente declinati.)

 

Fig. 1

Questo passo ha come predecessora l’analisi QFD sopra citata, nella quale partendo dalle esigenze qualitative del mercato, si evidenziano le features di prodotto sulle quali focalizzare i miglioramenti o la creazione (se non ancora presenti).

Partendo dai costi standard, normalmente organizzati in una Cost Breakdown Structure, si associano quindi i costi relativi a tali assiemi, lungo la catena del valore, dall’ingegneria alla produzione, a fronte dei target di qualità ed efficienza economica.

Processo di valutazione dell’opportunità di Comakership

A questo punto, le informazioni disponibili e il quadro così articolato, fornisce la base decisionale per valutare l’opportunità di implementazione dell’intervento di comakership.

È necessario poi operare una attenta segmentazione dell’insieme dei propri fornitori, in modo da evidenziare tra questi quali possano effettivamente essere considerati co-makers o possano essere sviluppati per ricoprire tale ruolo. La segmentazione avviene in sostanza in base alla specializzazione (e.g. componentistica meccanica, elettrica, carpenteria, forgia, componentistica specifica, sistemi di attuazione, piping) e al possesso delle caratteristiche distintive di comakership.

Da un punto di vista commerciale, per regolare il rapporto formale tra le parti, è richiesta la predisposizione di contratti con riferimento al modello collaborativo e al grado e limiti di responsabilità attribuito alle parti sul risultato tecnico-funzionale finale.

Nel caso di sviluppi articolati e duraturi, anche il planning con milestones di verifica periodica e di consegna dei ‘deliverables’ è un allegato contrattuale fondamentale.

Il co-maker diviene d’altro canto punto di riferimento principale per l’azienda cliente per una classe di sottoinsiemi o assiemi di prodotto, eventualmente in modo univoco. Questo aspetto potrà essere regolato da contratti ‘quadro’, associati necessariamente a forme di esclusiva e accordi di tipo ‘non disclosure’.

Dal punto d vista dei costi, il co-maker offre un servizio integrato a maggior valore aggiunto, che normalmente include nel prezzo finale della fornitura. Eventuali attività complementari (prototipazioni, sviluppi di co-design, testing supplementare) possono essere regolati con un modello di cost sharing.

Naturalmente, nella dinamica di pricing finale del co-maker, molto conteranno i volumi in gioco e la continuità produttiva che l’azienda cliente può offrire.

Per far fronte a nuove richieste tecniche, stare al passo con le evoluzioni del mercato o a causa dell’aumento di volumi, l’azienda trasformatrice – comaker può trovarsi nella condizione in cui le macchine o gli impianti utilizzati non risultino più adeguati.

Si pone allora la questione se attestarsi su una condizione consolidata, rimanendo in ‘zona di comfort’, o intraprendere nuovi investimenti in termini di mezzi produzione, risorse, ricerca e sviluppo.

Il caso può essere valutato tra le aziende ed eventualmente strutturato tramite accordi di partnership. Le risorse economico finanziarie necessarie per i nuovi investimenti, potranno essere agevolate dall’azienda cliente. Quest’ultima potrà, ad esempio, entrare nell’azionariato del co-maker, facilitare i flussi di cassa -e.g. con politiche di factoring o stabilire un set specifico di progetti su cui costruire delle intese societarie (forme consortili, Joint ventures, ATI).

Ambienti caratteristici del comakership

Declinato il modello tipico di co-makership, la questione di fondo è comprendere quale sia l’ambiente nel quale tale modello può effettivamente avere luogo.

Le collaborazioni di maggior successo vedono il co-maker come espressione di eccellenza, profondamente radicato in distretti industriali connotati da significative tradizioni manifatturiere. In media il co-maker è a sua volta una piccola media impresa “privately owned”, con grande flessibilità operativa e adattabilità al bisogno specifico del Cliente.

Il volume produttivo di tale tipologia aziendale si attesta nell’ordine delle migliaia di unità, come capacità standard.

Il co-maker e l’azienda cliente afferiscono generalmente allo stesso distretto industriale o a distretti contigui. Si trovano dunque ad avere cultura di business e approccio ai problemi operativi similari, provenienti da una solida impostazione di base.

Tale modello, con le dovute proporzioni di scala e organizzazione, può essere riproducibile a livello globale qualora, come spesso accade, l’azienda Cliente abbia delle unità a livello internazionale.

L’azienda Cliente avrà più co-maker, ognuno dedicato a uno specifico blocco funzionale di prodotto, che realizzeranno una struttura di “networked comakership”.

Siffatta rete può cogliere pertanto le migliori specializzazioni e le migliori competitività, eventualmente offerte anche da più distretti industriali. Dunque, sebbene i diversi co-maker siano di norma dislocati in un’area geografica relativamente ristretta, l’azienda Cliente deve essere in grado di gestire una certa dispersione.

I prodotti finali, provenienti da questa rete, dovranno infine confluire nelle unità del Cliente per gli assemblaggi finali e la successiva immissione nel mercato o progetto di destinazione.

È quindi evidente come la dimensione gestionale del Cliente divenga centrale, esigendo l’applicazione di tecniche di Project Management e dotandosi di un approccio sistemico, in termini di Operation. Il Purchasing Engineer, che si avvarrà delle funzioni di controllo del processo, dall’engineering all’expediting, come già mostrato, ricoprirà un ruolo cruciale.

In un certo qual modo, il modello presentato può richiamare quello delle Signorie Rinascimentali, dove, in aree geografiche in fondo piuttosto ridotte, fiorivano le strette interconnessioni tra soggetti che fornivano gli strumenti e i supporti operativi e di specializzazione (allora artigiana), in modo che la Signoria avesse successo (economico, commerciale e spesso militare) in un contesto anche molto  più ampio di quello regionale o nazionale, come in effetti avveniva.

Potremmo concludere che, anche per le ragioni storiche richiamate, il modello collaborativo di co-makership, per sua natura può realizzarsi efficacemente in un contesto industriale che afferisce al distretto industriale e può essere interpretato come parte del DNA di molte tipiche PMI che caratterizzano il nostro sistema economico.

Massimiliano Arena

 

[1]  Citiamo qui il caso frequente di un target di riduzione e costi; analogamente di imposta il processo per l’incremento prestazionale: più spesso entrambe le cose