Nel precedente articolo ” Figli in azienda? per carità, no grazie!” scrivevo che non si diventa imprenditori per il semplice fatto che si è figli d´arte. Affermazione ovvia ma spesso non tenuta presente da numerosi titolari di aziende di medie e piccole dimensioni, a volte anche di grandi. Scrivevo anche che la successione diventa un problema perché non si è capaci di dire di no all´ingresso “automatico” dei figli in azienda. E anche questo è un concetto abbastanza comprensibile, poiché gli imprenditori se hanno figli sono anche genitori e sono pochi i genitori realmente obiettivi nei confronti di essi. Dicevo infine che per valutare se i figli hanno un DNA imprenditoriale è utile farsi aiutare da psicologi e uomini d´azienda.
Ebbene, ora proverò a indicare sia ai figli che ai genitori il nostro modello che utilizziamo con chi ha deciso di seguire un percorso di sviluppo imprenditoriale, per essere in grado, quando sarà il momento, di assumere il testimone del comando dell´impresa di famiglia.
Il modello è una miscela di concetti avanzati di management e di principi educativi applicati negli anni ´50/60 nelle famiglie di industriali e commercianti. Cioé: ogni giovane deve fare le proprie esperienze; deve imparare sulla propria pelle quanto “costa il sale”; si impara di più “sotto padrone” che a casa propria; la fame aguzza l´ingegno; nulla come la lotta per la sopravvivenza fa capire le priorità che veramente contano; se hai 100 lire, spendine 50 perché non si sa cosa può succedere domani, e così via.
Scoperto il DNA del figlio bisogna valorizzarlo: quindi per chi ha gli attributi imprenditoriali è opportuno seguire un ben preciso percorso di sviluppo che porti a valorizzare e consolidare i suoi punti forza, ma anche a ridurre i punti di debolezza. Tre sono i gradini da percorrere.
1. IL DIPLOMA NON BASTA CI VUOLE LA LAUREA
Il contesto competitivo è diventato e continuerà ad essere sempre più complesso. Una base di studi solida è certamente di aiuto per interpretare la complessità del business. Oggi è inaccettabile che ci siano figli di imprenditori non laureati. Non riesco a capire perché per il fare il manager bisogna essere laureati e per fare l´imprenditore no. Come farà il novello capitano di industria con il diploma delle scuole superiori a gestire aziende sempre più sofisticate, dense di know how e di collaboratori laureati? Semplice: non ci riuscirà! Anni fa, si. All´industriale fondatore senza laurea bastava l´autorevolezza conquistata con i fatti per essere rispettato ed apprezzato. Ma questo non viene riconosciuto a chi succede al fondatore all´imprenditore di seconda generazione. Quindi per iniziare bene i figli devono avere solide basi di studio. Certo, non si forma un bravo imprenditore solo sui banchi universitari. Il DNA, come ho già detto, o si ha o non si ha. Se non si ha, è meglio dedicarsi ad altre attività. Ma se si ha, con gli studi lo si valorizza perché danno una marcia in più, fornendo strumenti per analizzare e capire meglio i fenomeni aziendali. Bisogna quindi indirizzare il figlio verso studi per i quali è portato, verso una facoltà in sintonia con il carattere, con le sue esigenze e motivazioni. Anche un test psicoattitudinale può aiutare a capire quali sono gli atteggiamenti, le necessità nascoste che il figlio spesso non esprime, soprattutto al padre. E comunque, è chiaro che durante gli studi deve applicarsi per terminarli nei tempi stabiliti e con una buona votazione.
2. ESPERIENZA LAVORATIVA”SOTTO PADRONE”
Questo è il gradino sul quale la maggior parte degli imprenditori inciampa. Moltissimi figli infatti, finiti gli studi superiori o universitari, entrano subito nell´azienda di famiglia. Perché è più semplice e meno faticoso, perché è quasi automatico, perché ci si sente in dovere di mettere il figlio al sicuro, o perché
a volte l´azienda ha bisogno di persone. Ebbene, questo è il più grave errore che si possa commettere. Nella maggior parte dei casi ciò porta alla formazione di una personalità debole, ad una scarsa esperienza di mondo vero, alla carente assimilazione di quelle cose semplici, relazione fra persone che si imparano soltanto lavorando all´interno di una struttura aziendale senza protezioni derivanti dal proprio cognome. E´ grazie all´esperienza vissuta sul campo, tramite meriti reali, risultati conseguiti grazie al proprio impegno, che si conquista la credibilità degli altri e la sicurezza in se stessi. Quindi, dopo l´acquisizione di una cultura universitaria, conviene fare un bagno di umiltà e di realtà “sotto padrone” alle dipendenze di qualcuno per un periodo significativo, da 3 a 6 anni almeno. Questa esperienza deve essere variegata e possibilmente in un settore industriale simile a quello dell´azienda di famiglia, in una posizione aziendale in sintonia con le proprie attitudini e con la propria formazione. Una volta conseguiti risultati significativi, quando si è raggiunto un buon stipendio, la stima dei colleghi, magari il grado di dirigente e soprattutto la stima in sé stessi è venuto il momento – e ciascuno ha il proprio periodo per raggiungere tali risultati – di entrare nell´ azienda di famiglia. L´esperienza “sotto padrone” farà “da detonatore” e permetterà a quei figli dotati imprenditorialmente di scoprire le proprie potenzialità negli affari, avendo sofferto in un´azienda concepita da un altro imprenditore di cui magari non si condividono metodi di gestione o addirittura la stessa concezione del business. Le innovazioni imprenditoriali ,di solito ,nascono per reazione a un “status quo” non condiviso, o ad una situazione di profonda insoddisfazione.
3. IL MASTER SI´, MA DOPO
Dopo l´esperienza “sotto padrone”, può essere utile consolidare il proprio know-how facendo un master in business administration, magari all´estero. E´ chiaro che rimettersi a studiare dopo cinque, sei anni di esperienza di lavoro è molto duro. Ma è molto formativo perché si sono ormai capite le logiche che regolano il business. E il “ritorno a scuola” rappresenta un momento di razionalizzazione e sistematizzazione delle proprie esperienze di lavoro. Il master potrebbe essere il punto di arrivo prima dello sbarco definitivo nell´azienda di famiglia.
Penso che ora sia chiaro che il figlio che ha percorso questi tre gradini di sviluppo imprenditoriale arriverà in azienda con una autorevolezza ben diversa da quella che avrebbe avuto avere se vi fosse entrato appenaterminato gli studi, magari non universitari. Entrerà con una sicurezza in sé stesso acquisita, non grazie al suo nome, ma ai risultatiottenuti: avrà quindi il rispetto del padre, dei dipendenti, dei professionisti che ruotano intorno all´azienda. Al contrario, nel caso dell´ingresso in azienda subito dopo gli studi, il figlio avrà il rispetto dei collaboratori solo perché porta il cognome del padre: un rispetto dovuto, non vero, non guadagnato.
Preparando i figli a ricevere il testimone del comando, non si fa altro che accelerare il passaggio generazionale, aumentandone le probabilità di successo e soprattutto evitando rovinosi conflitti nel caso in cui in azienda entrassero più figli e qualcuno di loro fosse inadatto a svolgere il ruolo di comando. Un ultimo suggerimento: finché il figlio non avrà percorso i gradini indicati e non avrà dimostrato di valere nel nuovo ruolo, è bene evitare di intestare a lui azioni o quote della società di coinvolgerlo nel Consiglio di Amministrazione. Lo si farà al momento opportuno
Certo è che per percorrere questa strada, posto che se ne abbiano le doti, ci vuole volontà, dedizione e tenacia. Quindi, in primo è il figlio che deve esserne convinto. Che vuole arrivare fino in fondo. A quel punto la fatica, non la sentirà poiché farà le cose divertendosi, che è il miglior modo per imparare e per lavorare.
“Bisogna trovare il proprio sogno perché la strada diventi facile” scriveva Herman Hesse. E d´altro canto, un imprenditore senza un sogno che imprenditore è ?