COSA FARE IN CASO DI CRISI AZIENDALE

Normalmente si ritiene che il profilo dell’imprenditore sia un aggregato di intuizione, leadership, freddo e lucido calcolo, dinamismo e determinazione, sensibilità e motivazione economica. Secondo tale immagine:

  • nessuno meglio dell´imprenditore, che ha creato l´azienda o l´ha sviluppata, intravede, prevede e valuta le opportunità e le minacce che si profilano per la sua impresa;
  • nessuno meglio di lui sa quali sono capacità di reazione e tempi di risposta della sua azienda nel cogliere le opportunità e nel fronteggiare le minacce;
  • nessuno meglio di lui sa cogliere sintomi e cause delle difficoltà che la sua azienda sta incontrando;
  • in sintesi, nessun altro ha la visione completa, attuale e prospettica, della sua azienda.

Se è così, come mai di fronte a una situazione di crisi sovente ho visto l’imprenditore nascondersi la realtà o, quanto meno, non accettarla pienamente con consapevolezza?
L´esperienza dimostra infatti che quando l’imprenditore si trova in una situazione difficile, spesso i tratti che dovrebbero caratterizzarlo s’appannano e si affievoliscono. Certo la sua personalità e il suo rapporto affiliativo con l´azienda permangono, ma di fronte alle difficoltà reagisce in modi imprevedibili, al di fuori delle logiche di economicità, di sana e razionale gestione.

Non tutti gli imprenditori sono così, ma una buona parte così si comporta. Guidano l’azienda sperando nella buona stella, aspettando che il problema si risolva senza adottare gli opportuni cambiamenti, soprattutto quando è necessario che siano radicali. Eppure con il loro fiuto e la loro esperienza avvertono che, andando avanti così, l´azienda non potrà farcela, sanno di pilotare un aereo che sta correndo il rischio di schiantarsi contro una montagna. Uno scenario assurdo, in cui spesso si vengono a trovare imprenditori di successo che non sono capaci di – o inconsciamente non vogliono – mettere in discussione la formula imprenditoriale che anni addietro hanno con acume definito e sviluppato con crescente successo.

E’ difficile trasformare in dubbio le certezze costruite sulla base di positive esperienze, ma in situazioni di difficoltà è necessario essere pragmatici, liberandosi dai vincoli del “ho sempre fatto così e ha sempre funzionato” e dal timore per l’incertezza che i cambiamenti possono introdurre. Se tale flessibilità e pragmatismo vengono meno, l’imprenditore diviene “obso-lento”, cioè obsoleto e lento, e non reagisce rapidamente ai cambiamenti. Per non diventarlo, è fondamentale che sia continuamente disponibile a mettersi in discussione, a mantenere in tensione l´organizzazione aziendale, a stare sempre all´erta, a riconoscere ogni piccolo segnale di difficoltà e a porvi immediato rimedio, per evitare di trovarsi poi in una crisi irreversibile.

Le crisi aziendali non avvengano mai dalla sera alla mattina. Come le malattie, hanno un loro decorso prima di diventare incurabili. Come in un organismo robusto, anche in azienda vi é sempre un’isteresi che, a seconda della dimensione, risorse finanziarie e capacità di indebitamento, può fare sembrare le difficoltà meno gravi di quanto realmente siano. Come in un organismo robusto colpito da un’influenza di stagione, anche l’azienda – spesso presuntuosamente – ritiene che si risolverà da sola e quindi trascura l’analisi dei problemi e rinvia nel tempo gli interventi necessari, anche perché i successi passati hanno reso miope l’imprenditore, che non sa più cogliere i sintomi di malessere e non s’avvede che la banale influenza si sta trasformando in pericolosa polmonite.

I sintomi di malessere

Parecchi indicatori segnalano la presenza di difficoltà: quota di mercato che si contrae, prezzi non competitivi, prodotti non più adeguati alle richieste del mercato, lamentele dei clienti sul livello di servizio, collaboratori validi che si dimettono, difficoltà nel prendere decisioni, litigi all’interno della proprietà, carenza di mezzi propri di finanziamento, indebitamento crescente, oneri finanziari elevati, risultati economici negativi, eccetera.

Se l´imprenditore trascura i sintomi di malessere e non interviene, la situazione diviene sempre più difficile, fino a diventare grave.
I principali indicatori economico-finanziari che evidenziano un grave stato di crisi sono:

  1. fatturato stabile o in calo da più di tre esercizi;
  2. perdite di esercizio / fatturato intorno al 10% che si sommano a quelle degli esercizi precedenti;
  3. oneri finanziari / fatturato superiori al 3-5% e livello analogo anche nei due esercizi precedenti;
  4. indebitamento (mezzi di terzi / mezzi propri)
  5. superiore a 5 (il rapporto normalmente accettato dalle banche è 3,5)
  6. indebitamento a breve prevalente rispetto a quello a medio lungo termine.

Sono indicatori semplici e ogni azienda ne può disporre, se è dotata di un elementare sistema di controllo dell´andamento economico-finanziario. E se tale sistema fornisce mensilmente questi dati – e magari altri più dettagliati, correlati all´andamento dei concorrenti, alla situazione economica generale e al livello normalmente accettato dalle banche e dai fornitori – si può evitare con interventi gestionali correttivi di arrivare ai valori sopra indicati, sintomatici di un grave stato di crisi.

Le cause della crisi

Ma quali sono le cause della crisi?
Esse possono essere di natura diversa. A volte dipendono da una negativa e generalizzata tendenza del mercato, altre volte da carenze peculiari dell´azienda, altre volte ancora dalla combinazione dei due fattori.

Due sono però le cause principali e più importanti dei problemi aziendali:

  1. immobilismo decisionale in presenza di cambiamenti nel mercato
  2. decisioni di cambiamento sbagliate e di grande impatto sull´azienda

Infatti i problemi sono sempre dell´azienda e derivano dalle decisioni dell´imprenditore e del management.

Sottovalutazione dell´impatto dei cambiamenti, causata dal miope convincimento della validità della propria idea imprenditoriale, convincimento che ha le sue radici nei passati successi. Resistenza a rimettere in discussione la formula imprenditoriale dell´impresa, a pensare a nuovi prodotti e mercati e a rivoluzionare in parte o completamente i processi produttivi. Mancata delega del ruolo imprenditoriale alle nuove generazioni imprenditoriali. Decisioni sbagliate collegate a grandi investimenti. Scelte operative errate di prodotto, di mercato, di risorse umane.

Cause spesso collegate al mancato rinnovamento dei vertici imprenditoriali. L´azienda non può invecchiare, deve anticipare i cambiamenti, non subirli passivamente, deve rinnovarsi, non stare ferma. I tempi cambiano velocemente e per stare ai tempi bisogna essere figli dei tempi che si vivono. Spesso le aziende invecchiano con i loro imprenditori che non hanno il coraggio di delegare ai figli capaci. Hanno paura di perdere il controllo sul loro giochino e così inanellano scelte sbagliate e portano l´azienda in una situazione di crisi.

Riconoscerne in tempo la gravita´

Le difficoltà aumentano e la situazione peggiora e per non fare trapelare all’esterno lo stato di crisi si manovra il bilancio, si nascondono le perdite ma non si effettuano interventi sulle cause prime della crisi. E così la situazione si avvita sempre di più, fino a diventare irreversibile. Perdite generano debiti che producono interessi passivi che aumentano le perdite…

Gli interventi di risanamento vengono spesso richiesti con significativo ritardo rispetto alla necessaria urgenza: la Proprietà cerca di chiudere la stalla quando parecchi buoi sono già scappati. Purtroppo, per l’azienda il tempo non è medico, poiché la mancata tempestività nell’attuare azioni straordinarie che correggono un negativo andamento della gestione non porta alcun miglioramento, bensì rende ulteriormente critica, soprattutto sul piano economico e finanziario, la già precaria situazione.

Pertanto, quando si avverte una situazione di crisi grave ma ancora recuperabile, é indispensabile che l´imprenditore non faccia lo struzzo nascondendosi i fatti: sia invece onesto con sé stesso e affronti la situazione con determinazione, mantenendo un atteggiamento freddo e pragmatico, nella consapevolezza che deve imparare a gestire una situazione mai affrontata prima e per la quale la sua pur notevole esperienza non è sufficiente. E si chieda quindi con onestà e severità se si ritiene in grado di farcela da solo o se invece sia opportuno farsi aiutare da esterni.

Le premesse per andare avanti

Riconosciuta la gravità della situazione, l´imprenditore deve fare alcune verifiche all´interno dell´azienda, nell´ambito della famiglia e nei confronti del sistema esterno: banche e fornitori.

I punti da verificare non sono molti, ma di vitale importanza e gli aspetti da considerare per decidere quale strada percorrere sono tre:

  1. la volontà di continuare: se l´imprenditore é demotivato, se non se la sente più di portare il peso dell´azienda, se ha raggiunto il proprio limite personale ed é cosciente che non può superarlo e non vede prospettive imprenditoriali nei figli, é meglio che molli. L´avvocato Agnelli tempo fa disse: “… ognuno deve essere cosciente dei propri limiti e sapere quanto peso può portare sulle spalle”. Il peso può essere tanto o poco, non é rilevante: l´importante é sentirsi dimensionati ad esso. E´ molto più apprezzabile un imprenditore che, capiti i propri limiti, passi il testimone ai figli capaci, piuttosto che un imprenditore che, per orgoglio, status, puntiglio continui l´attività rischiando di far saltare l’azienda, perdendo tutto il patrimonio creato in anni di lavoro.La volontà imprenditoriale di continuare é quindi cruciale. Quando mi sono trovato a lavorare a fianco di imprenditori senza determinazione, ho dovuto affrontare situazioni al limite della fattibilità e alcune volte ho preferito rinunciare all´incarico di ristrutturare e rilanciare l´azienda. Quando invece ho lavorato con imprenditori determinati a farcela, l´impegno seppur gravoso é stato portato a termine con successo, poiché la professionalità manageriale si è sommata alla energia nel volere andare oltre, alla disponibilità dell´imprenditore a rischiare immagine e capitali e al desiderio di successo, che riusciva a rianimare tutta l’organizzazione aziendale;
  2. la disponibilità di un patrimonio personale da mettere in gioco per generare i mezzi freschi necessari alle azioni di risanamento. La disponibilità di tale patrimonio dà a queste azioni una maggior possibilità di riuscita, perché permette di non appesantire il conto economico con ulteriori oneri finanziari.
    Nella nostra esperienza abbiamo sentito commercialisti di fiducia dell´imprenditore consigliare di non rischiare ulteriormente, di lasciare andare l´azienda così com´era, salvando il salvabile e cadendo in piedi. Questo può funzionare solo se l´imprenditore non intende continuare l´attività. Altrimenti è indispensabile coprire le perdite con denaro non oneroso, immettendo in azienda capitali freschi che possono, per esempio, provenire dalla vendita di beni immobili personali.In termini di immagine verso l’esterno e in particolare verso gli istituti di credito, immettere mezzi freschi non onerosi dimostra concretamente che le dichiarazioni imprenditoriali sulla volontà di continuare attuando un piano di risanamento non sono velleitarie, bensì fondate su una coerente ricostituzione del capitale di rischio;
  3. la potenzialità di credito: é la traduzione, in termini di finanziamenti ottenibili, della fiducia che le banche hanno nell´imprenditore e nella sua impresa. Se hanno percepito la volontà di risanamento, se hanno fiducia nella famiglia dell´imprenditore e nel management aziendale, se hanno visto che l´impresa é stata ricapitalizzata e ha definito un piano industriale coerente, non sarà difficile ottenere nuova fiducia e rinegoziare gli affidamenti. E ciò a maggior ragione se l´azienda dispone ancora di garanzie reali (fabbricati, capannoni, terreni, eccetera).
Le tre alternative percorribili

In una situazione aziendale difficile le alternative da seguire sono sostanzialmente tre:

  1. la ristrutturazioneE’ un intervento radicale, che comporta non solo la drastica riduzione dei costi, ma anche la ridefinizione di strategie e investimenti, per ridare slancio e futuro all´azienda. E´ la soluzione più faticosa e difficile, che però punta diritta nella direzione della continuità dell’impresa.
    Per percorrere questa strada devono essere rispettate le tre condizioni indicate sopra e devono esserci i quattro pilastri aziendali su cui costruire il risanamento:
    – prodotto,
    – immagine,
    – spazi potenziali di crescita nel mercato,
    – competenze distintive dell’azienda, cioè la capacità di far bene ciò che é importante per il mercato.Questi fattori rappresentano il futuro dell´azienda. Sono la “benzina” per il motore dell´azienda. E´ su questi pilastri che si ricostruisce la formula economica dell´impresa.

    E´ bene che la gestione della ristrutturazione sia affidata a una persona non coinvolta nella precedente gestione, in modo che possa agire con maggiore libertà. Non a caso tutte le ristrutturazioni di successo sono state effettuate da un nuovo amministratore delegato inserito con l´obiettivo di risanarla. Per converso, non si sono mai avuti risanamenti efficaci fatti dallo stesso imprenditore che ha portato in crisi l´azienda. Ciò é logico. Un esterno, un manager non coinvolto nella precedente gestione, non è condizionato né dalla storia dell’azienda né dai vincoli dei rapporti interpersonali che in essa vi sono: é quindi più libero sia nella diagnosi che nell´azione, per raggiungere in un tempo definito un obiettivo chiaro: il rilancio dell’azienda.

  2. la cessione dell’aziendaE’ l´alternativa perseguibile quando all´imprenditore manca la volontà di continuare e non vi sono né membri della famiglia né soci capaci di svolgere il ruolo imprenditoriale. Requisito fondamentale per la riuscita é che l’azienda sia appetibile in termini di prodotto, marchio, clienti o beni immobili, aspetti questi che rendono attraente l´operazione agli occhi di un potenziale acquirente. Anche in questo caso é utile farsi affiancare da un esterno esperto di merger & acquisition; è inoltre necessario che l’imprenditore metta da parte considerazioni di status, orgoglio e prestigio personale.
    Le ristrutturazioni avvengono spesso con il passaggio del pacchetto di maggioranza a una nuova proprietà che interviene radicalmente modificando l´assetto gestionale e strategico dell´impresa. Da alcuni anni a questa parte abbiamo anche assistito a ristrutturazioni effettuate dal management interno (management buy-in) o esterno alla società (management buy-out) che, con il supporto di una finanziaria di partecipazione o di una merchant-bank, hanno riequilibrato le sorti dell´azienda, modificandone parzialmente o totalmente l´assetto proprietario.Se questa é la strada scelta, occorre percorrerla con rapidità, tenendo particolarmente presente che spesso il potenziale compratore è un concorrente, magari quello contro cui si è sempre combattuto sul mercato. Occorre percorrerla con rapidità perché più passa il tempo, più il valore dell´azienda si riduce: quindi entrambi gli obiettivi – evitare che i problemi dell’azienda si acuiscano e incassare il massimo dalla sua cessione – si giocano sul tempo.
  3. la cessazione mediante una liquidazione intelligente dell’attivitàE’ un’alternativa di solito poco considerata e, semmai, ritenuta l’ultima spiaggia, perché spesso fraintesa con le procedure concorsuali. Invece non è così, se si tiene conto dell´aggettivo “intelligente”: che significa ottimizzare in quantità e tempo le operazioni di incasso di tutti i crediti dai clienti, quelle di pagamento di tutti i debiti verso i fornitori, realizzando inoltre tempestivamente il più possibile dai cespiti aziendali, dismettendo gradualmente il personale, realizzando il magazzino e quant´altro é necessario per ridurre al minimo le perdite. Solo dopo aver attuato intelligentemente queste azioni, si passa la mano ad un commercialista per gli aspetti fiscali che la liquidazione comporta nel tempo.
    Anche in questo caso è utile usare un manager esterno perché si devono mettere in atto azioni straordinarie in tempi brevi, azioni e tempi a cui l’azienda non è abituata.
    Questa é un´alternativa da perseguire soprattutto nel caso in cui l´imprenditore disponga di un patrimonio per liquidare l´attività e voglia salvaguardare la sua immagine, evitando di passare attraverso le traumatiche procedure concorsuali.
La soluzione del temporary management

Come ho accennato sopra, è bene che l´imprenditore deleghi ad un manager esterno la gestione dei fenomeni aziendali straordinari. E il temporary management è certamente la soluzione migliore oggi utilizzabile.

Il temporary management è un’attività – svolta da contract manager di una società specializzata – per gestire un´impresa, una sua parte o un progetto per un periodo di tempo definito, con l´obiettivo di risolverne i problemi gestionali o di svilupparne l’attività o di ristabilirne l´equilibrio economico e finanziario, consolidandone inoltre l’organizzazione per mantenerla competitiva nel tempo.

L´attività di temporary management è presente in Italia dalla fine degli anni ´80 ma è solo con il nuovo millennio che ha avuto un riconoscimento pieno da parte del mercato sia dalle aziende di grandi dimensioni, multinazionali, sia da quelle piccole, familiari.

La società di temporary management, dopo un´attenta analisi e diagnosi individua il manager a contratto più adatto e lo inserisce in azienda per un periodo definito, che di solito varia dai 6 ai 36 mesi. Il temporary management serve per gestire un importante cambiamento aziendale o per coprire un temporaneo vuoto di direzione.

E´ chiaro che le situazioni di straordinaria gestione (indicate poco sopra) di: crisi aziendale con possibilità di risanamento; di preparazione dell´azienda alla cessione; di gestione di un passaggio generazionale oppure di liquidazione volontaria di un´azienda rappresentano i casi più tipici dell´attività di temporary management a livello di direzione generale.

L´obiettivo della società di temporary management è di risolvere efficacemente il problema per il quale è stata chiamata, creare le premesse organizzative per una gestione efficiente e scegliere e formare il sostituto che sia in grado di gestire l´azienda con successo, una volta terminato l´intervento di temporary management.

Si parla di temporary management nella sua accezione originale quando vengono rispettate le tre condizioni sotto indicate. Negli altri casi si parla invece di “body renting”, cioè di semplice affitto di risorse manageriali.
Le caratteristiche distintive dell’accezione originale di temporary management sono le seguenti:

Specializzazione della società

E´ il primo ingrediente rilevante. E’ importante perché il temporary management è un lavoro che richiede forte competenza di gestione aziendale, unita a capacità di analisi e diagnosi dei problemi e a quella di selezione dei manager adatti all´attività manageriale temporanea.
E´ perciò un mestiere diverso da quello della consulenza aziendale – dove bisogna essere capaci di dare buoni consigli – e diverso dall´attività di executive search, dove invece bisogna saper individuare manager con il profilo professionale richiesto dall’azienda cliente.

Assunzione della responsabilità dell’intervento di temporary management

Questo è un altro tratto che differenzia il temporary management dalla già accennata attività di “body renting”. La società di temporary management ha da una parte un contratto con l’azienda cliente per la fornitura di un servizio manageriale e dall’altra un contratto di lavoro autonomo con il contract manager, il quale risponde direttamente alla società di temporary management per quanto attiene il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal contratto stipulato con l´azienda cliente.

IL RAPPORTO CONTRATTUALE

Il rapporto contrattuale che regola un intervento di temporary management è di tipo triangolare e coinvolge i tre attori del contratto in maniera integrata.

Gli interventi di management temporaneo si svolgono a livello di alta direzione e il contract manager assume di solito l´incarico di procuratore o di membro del consiglio di amministrazione.
La società di temporary management si impegna a controllare l´andamento dell´intervento con incontri mensili di verifica dello stato di avanzamento del lavoro e a fornire al contract manager il necessario supporto, mettendo a sua disposizione le risorse specialistiche occorrenti, che sono di solito altri manager che fanno parte della società.
Tutto ciò qualifica la società di temporary management come responsabile diretta dell’intervento e del raggiungimento degli obiettivi definiti.

Manager adatti al temporary management

Abbiamo detto che il contract manager è un manager di alto livello che si inserisce in un´impresa per un periodo di tempo limitato con l´obiettivo di gestire un processo di cambiamento.
Per poter operare con successo in tempi brevi su problematiche di solito difficili è necessario aver maturato una notevole esperienza ai massimi livelli aziendali. Bisogna poi essere abituati a lavorare per progetti, ad aver come padrone il tempo e i risultati da raggiungere e non l´azienda nella quale si è inseriti.
Perciò non tutti i manager sono adatti a fare il contract manager. Quelli che hanno positivamente intrapreso questa attività hanno fatto dell´imprenditorialità, della flessibilità, della competenza professionale e dell’onestà la loro bandiera.

Angelo Vergani