LE DISCESE ARDITE

Corriere della Sera
Edoardo Vigna
5 aprile
2012

Salti da 11 metri e lungo fiumi inaccessibili dal Canada alla Mongolia
Angelo Vergani, imprenditore-canoista, ha importato il temporary managment, ma la passione ha fatto un kayaker: 400 missioni, spesso in luoghi inesplorati. “E’ una disciplina che ti forma il carattere”.

“Quando sei in una gola con la tua canoa, puoi solo andare avanti. Se hai paura, te la fai passare. Ti affidi ai tuoi compagni, sai che ti aiuteranno, anche a propri rischio. E poi la bellezza di ciò che vivi e vedi – luoghi che in pochi al mondo hanno visto – riaccende sempre la passione. Come in Epiro, nella Grecia del Nord, lungo il Krikkellopotamos. Un canyon di 20 chilometri in cui più vai avanti, più sprofondi nella preistoria, con le stratificazioni della roccia che passano dal rosso al bianco, al giallo, al grigio: e quando sei al culmine, entri in una grotta, tra muschio, acqua e raggio del sole che fuori creano l’arcobaleno”.

Passione: quella che ti fa brillare gli occhi anche nei giorni successivi alla discesa. E che spinge tua (sua) moglie a dirti(gli): “Ti vedo un po’ giù, è il momento che tu vada in canoa”.Amicizia: quella per cui dai a tuo figlio il nome dell’amico scomparso sulle rapide. Fiducia: quella che ti fa stare (relativamente) tranquillo anche nel più sperduto angolo della Mongolia, a 300 chilometri dal più vicino ospedale. Perché queste sono le coordinate del mondo di Angelo Vergani: che ha 56 anni, fa l’imprenditore – “presta” manager alle aziende-, ama scrivere e, più di ogni altra cosa, discendere i fiumi in canoa.

COSA VUOL DIRE ESTREMO

“Pensare che tutto è cominciato per caso, nel ’76, quando andai in moto a lavorare in Galles per imparare l’inglese”. Quasi tutto, d’altra parte, comincia per caso. Faceva la Bocconi allora. “E lassù imparai il kayak. Quando sono tornato in Italia, ho abbandonato le moto da cross e i fiumi sono diventati la mia grande passione. Ora sono arrivato a discenderne quasi 400 in tutto il mondo, dal Canada a quelli che vengono giù in Georgia dal monte Elbrus. Anche se – comunque – non è il numero delle discese che conta, ma la difficoltà”. Dice così perché Vergani “nasce” come kayaker estremo. Di quelli che andavano a cercare i corsi d’acqua con coefficienti di difficoltà IV, V (considerate che i VI era ritenuto da morte quasi certa fra rapide, rocce e cascate). “Ma poi l’asticella si è alzata: le cane si sono accordiate e la maneggevolezza di un’imbarcazione di 2,5 metri è diversa da una di 4-4,5. I materiali sono diversi, la pagaia, che ti dà direzione, potenza, controllo, s’impugna in un altro modo, le “pance, delle canoe sono più piatte e ti permettono di fare saldi di 25-30 metri”, spiega oggi ricordando che lui, al massimo s’è buttato giù da una cascata di 11. Senza nessun sorriso dietro i candidi baffi. Perché dietro la sua svolta c’è una tragedia. “L’incidente”, dice con un groppo in gola. “La morte del mio amico Gianluca Petroni. Siamo partiti in sei, siamo tornati in 5 con una bara”, Sul torrente Pitzbach, in Austria. “E’ una ferita ancora sensibile, era andato avanti, aveva finito il pezzo difficile, poi la sua canoa s’è incastrata in una putrella di ferro messa a pettine sul fondo del fiume, s’è girata ed è rimasta così. E’ annegato, ci abbiamo messo otto ore a tirarla fuori. Diluviava”.

LA NEW ENTRY IN STILE “INDIANO”

Era il 1989, da allora le discese sono state ancora 300. Anche lunghe, impegnative. Alla fine di ogni giornata, ha preso appunti su alcuni quadernetti tutti scritti su chi c’era, il percorso, le difficoltà, che ora sono diventati due libri. E da una paio d’anni gli è scoppiata pure la passione della canoa canadese: “quella delle tribù indiane nordamericane, con cui si discendono anche 750 chilometri di fiume, come il canadese Yukon”. Ma anche se il periodo è tutto diverso, l’accompagna sempre il ricordo di quella pioggia battente.

Errando sui fiumi sono nate le altre amicizie importanti della vita di Vergani, a cominciare da Lilli Di Francesco, il compago di sempre. Ma sul North Klondike, in Canada, ha portato anche il figlio ancora adolescente. “La canoa-kayak è una disciplina sportiva che forma il carattere, ti abitua ad adattarti alle situazioni che cambiano, a decidere in fretta, richiede concentrazione. E’ come l’alpinismo, quando sei in azione non puoi pensare ad altro, non sai mai cosa ti aspetta, devi avanzare un metro per volta”. Le paure sono comunque in agguato. “Gli animali che ti possono aggredire, come gli orsi, in Canada L’isolamento, con il telefonino – nemmeno satellitare – che non prende. In un posto da dove non ti tira fuori nessuno: come l’Eg Gul, in Mongolia, che oltre a me e Lilli avranno percorso solo un paio di occidentali. Ma se sei allenato, sai che devi controllarti, che devi resistere, respiri bene e vai”. Perché hai imparato che ce la farai.

E visto che – come dice lui – questo è il suo karma, la passione del kayak non poteva non permeare pure la sua attività lavorativa. “Nel 1989, quando ho creato Contract Manager, siamo stati i primi. In Italia, a dare in prestito i manager di alto livello alle imprese, per un periodo di tempo limitato per risolvere complessi problemi di riorganizzazione o rilancio”. Ora Vergani ha un team di 20 manager e un database di altri 4.500 per le varie funzioni e le dimensioni aziendali. “E sì”, ammette, “in fondo grazie alle situazioni estreme che sono abituato ad affrontare riesco a ridimensionare le odierne ansie degli imprenditori”.

Edoardo Vigna