IL MANAGER AVVENTURRIERO

Il Sole 24 Ore
Enzo Riboni
17 marzo
2010

La canoa come metafora del viaggio, quel viaggio ultra avventuroso che ci porta nella vita, che scorre (e corre) dalla nascita alla morte. La canoa (o il kayak) che scivola, schizza, rotea, vola sull’acqua, un acqua turbolenta e infida, rumorosa e trasparente, piena di vortici schiumosi, di sassi nascosti, di pieghe del fiume che precipita. E attorno la roccia, la gola, e giù, nel fondo, il fiume che si infuria nelle rapide. E sopra la canoa, e dentro un uomo, trascinato dalla forza di un’acqua che cerca di governare con una pagaia, con la furia del fiume che l’attrae e lo trascina, verso quella passione del brivido, del rischio, dentro cui il sopravvivere diventa vivere. Anzi, il vivere un palmo più in su, al di là della norma, oltre il quotidiano e calmo fluire della vita. Senza machismi ed esibizionismi, però, solo per una passione che della natura ha scelto una fresca e selvaggia versione, fragorosa e cristallina.

Tutto ciò e di più è Fuga nella gola (ed. Lampi di stampa), il libro di Angelo Vergani, imprenditore e consulente aziendale di imprese con acciacchi e con voglia di crescere, uno dei primi ad aver introdotto in Italia i “contract manager”, i manager in affitto. E soprattutto, in questa chiave, un canoista appassionato, uno che da tre decenni, con un paio di amici milanesi, un camper, una canoa e un remo, va per i fiumi di tutto il mondo, dall’Austria al Marocco alla Grecia alla Slovacchia alla Russia alla Turchia. Per poi tornare il lunedì a rimettere la cravatta, a “mimetizzare” la furia dell’acqua di poche ore prima nel completo da lavoro, nelle sale di riunione, nella gestione di un’azienda da salvare.

Attenzione però, Vergani non è uno dei tanti che vendono esperienze estreme – quella pseudo formazione manageriale, cioè, che per anni (oggi fortunatamente meno di moda) ha predicato l’indispensabilità di una corsa sui carboni ardenti piuttosto che il bungee jumping giù da un ponte o, appunto, il rafting sulle rapide – come tappe indispensabili per il team building o per conquistare la determinazione e l’autocontrollo di un vero leader aziendale. E Fuga nella gola non è un improbabile testo di management, è un libro di narrativa, composto da nove racconti di vita e avventure vissute nell’adrenalina del pericolo. Una droga? Un rischio senza senso né scopo? Forse sì, almeno agli occhi di chi come me non si metterebbe mai su una canoa con una muta e una pagaia in mano a sfidare il gelo di un selvaggio e minaccioso torrente di montagna. Ma al di là del giudizio che si può dare, resta il consiglio di leggere un libro di avventure, un divertente e a volte drammatico o addirittura tragico (come quella volta in Austria quando morì in un incidente di canoa un compagno di Vergani) insieme di ricordi di viaggio.

Perché però leggerlo in chiave d’impresa, prescindendo dal fatto che chi scrive è un manager che non parla di management? Perché spesso i problemi che ci capita di affrontare nel lavoro quotidiano ci offrono una quota di stress indesiderato. Scoprire quindi come un “avventuriero” dell’acqua gestisca lo stress trasformando la sfida in divertimento può essere istruttivo. Inoltre Vergani, viaggiando da un paese all’altro, oltre che “navigare” (una volta tanto non solo virtualmente) incontra persone e si accosta a popoli diversi trovando il modo di indicarci che, la multi etnicità, è un valore da non perdere, tanto meno nel lavoro. “Ci imbattiamo in un gruppo di donne berbere che lavano i panni in un fiume. Sono bellissime, hanno capelli neri, fluenti e lunghi sulle spalle, le mani e le braccia immerse nell’acqua, le palme colorate di rosso scuro – racconta mentre risale una valle marocchina per trovare il punto giusto per la discesa – ci scrutano e si lasciano scrutare”. Ed è cioè in quel guardarsi con la diversità che spesso scaturisce l’idea che fa capire una realtà prima intuita solo come ostile.

Buonismo da “diversity management”? Non credo, poiché la vera china che può portare la nostra economia verso un’asfissia da provincia del mondo, sarà ogni giorno di più il rifiuto di avvalersi di una globalizzazione che mischia i popoli e le professionalità. Fuga nella gola, in definitiva, ci immerge in un’avventura che, probabilmente, la maggior parte di noi non vivrà mai, ma che, attraverso gli occhi di altri, spiega come succede che la passione vinca sulle paure. E non è poco in un momento in cui, più che sulla passione rivitalizzante, si è schiacciati sulla sopravvivenza, accettando un lavoro deprimente pur di non perdere posto e carriera. Non si chiede certo di essere “eroi del lavoro”, con tanto di stakanovistiche medaglie di passatista sapore sovietico, ma almeno di cercare nel lavoro un po’ di soddisfazione. Diversamente non resta che andare in canoa per vivere passioni altrimenti irraggiungibili. “Il paradiso esiste”, ci dice Vergani nell’ultimo racconto. Almeno, lui e gli amici, l’hanno scovato a Krikellopotamos in Grecia, in canoa. Con un valore aggiunto: poterne ritrovare almeno qualche briciola il lunedì, in ufficio, nel lavoro.

Enzo Riboni