Nell’era della globalizzazione quasi tutte le aziende sono state costrette a cambiare il proprio cammino. Il change management, che possiamo tradurre come la gestione del cambiamento, è un percorso che tiene conto delle conseguenze sulle persone e sull’organizzazione derivanti da una scelta di cambiamento strategico e di prodotto/mercato. Molti sono gli esempi di grandi società che non hanno avuto la forza di cambiare il loro “business model” e sono andate incontro a un destino fatale. Nokia, Kodak, Blockbuster, Blackberry e Polaroid sono solo alcune delle grandi società che pochi anni prima di fallire erano all’apice del loro successo
La disruption tecnologica sta imperversando in ogni settore, il sistema economico è balzato in pochi anni da una situazione di stabilità a una di incertezza endemica. Tale mutamento continuerà per un tempo illimitato, causa la continua rivoluzione tecnologica che promuove nuovi modelli economici e quindi sociali. Il protagonista del cambiamento in azienda è il change manager, in grado di individuare e guidare processi e strumenti da mettere in pratica nel periodo di transizione. Il suo ruolo è considerato fondamentale soprattutto per ridurre le tensioni e accompagnare il processo di mutamento nella maniera più fluida possibile. Solitamente il change manager è un professionista esterno all’azienda, si tratta infatti di un temporary manager con la missione di traghettatore.
Indice – Tavola dei contenuti:
- Il Change Manager attua un modello ben preciso
- Sviluppare il senso d’urgenza
- Costruire il team che guiderà il cambiamento
- Creare una visione chiara
- Comunicare la visione
- Rimuovere gli ostacoli
- Generare dei piccoli successi intermedi
- Insistere nel piano di attuazione
- Lasciare attecchire il cambiamento
- Da cosa dipende il successo di un piano di change management?
- Conclusioni finali
Il Change Manager attua un modello ben preciso
Il modo in cui guidare un processo di cambiamento è stato oggetto di numerose teorie e ricerche. L’autore più accreditato è sicuramente John Kotter dell’Harvard Business School, con la pubblicazione intitolata “Leading Change”.
Il suo lavoro ha delineato i margini e i piani d’intervento e il suo approccio prevede 8 step successivi, che di seguito analizzeremo.
Sviluppare il senso d’urgenza
La fase iniziale è molto delicata, gli stakeholder hanno bisogno di capire cosa stia succedendo. Per rendere reale il processo di cambiamento è bene agire in modo deciso e trasparente, occorre creare un senso di bisogno derivante dalla necessità di muovere l’azienda da una posizione torbida o comunque destinata a non produrre benefici.
Costruire il team che guiderà il cambiamento
Occorre allargare il team che se ne occuperà, gli agenti del cambiamento saranno i primi a supportare l’iniziativa. Scegliere la squadra non è affatto semplice, in molti casi il Change Manager eredita la squadra, o alcuni elementi di essa.
Creare una visione chiara
Per avere un impatto positivo e convinto sui propri collaboratori è necessario creare un’immagine chiara del percorso da intraprendere. La mente umana, per essere motivata, necessità di immagini reali, per questo motivo l’utilizzo di esempi è il miglior modo di procedere.
Comunicare la visione
La visione chiara deve essere condivisa con tutti coloro che ne sono interessati. L’enfasi nella comunicazione dovrà essere insistente e frequente, è un po’ come essere salpati tutti insieme per una terra promessa di cui si sono già visti i vantaggi.
Rimuovere gli ostacoli
Non si può immaginare un percorso netto, fatto di accadimenti unicamente positivi. È bene riconoscere pubblicamente coloro che promuovono il progetto e affrontare i detrattori cercando il dialogo con lo scopo di assoldarne di nuovi, convincendoli che la strada intrapresa sia quella necessaria e giusta per l’azienda.
Generare dei piccoli successi intermedi
Nel cammino che porterà alla conclusione del progetto è utile stabilire dei traguardi di breve periodo. Lo scopo è quello di motivare tutti a proseguire nella direzione del cambiamento.
Insistere nel piano di attuazione
La strada è fatta di successi e insuccessi. L’efficacia del risultato di breve periodo è necessaria per continuare a insistere, senza però dimenticare che i mancati raggiungimenti di risultati vanno analizzati e rimotivati di continuo.
Lasciare attecchire il cambiamento
Aver raggiunto il traguardo pronosticato non deve far abbassare la presa. Questo step conclusivo è delicato in quanto le persone che non hanno interiorizzato a sufficienza il cambiamento ben presto cercheranno di tornare alle vecchie maniere.
Questo modello ha il pregio di non dimenticare nessuna delle fasi che portano al cambiamento, il Change Manager svolgerà il suo intervento di change management in step coordinati fra loro.
Se guardassimo un po’ più dall’alto il suo progetto nell’insieme dovremmo dividerlo in tre aree:
- Definizione degli obiettivi da parte della governance in modo da avere una visione sulle tempistiche, su quali siano gli attori interessati e come coinvolgerli, sui risultati attesi nel conto economico;
- Condivisione del piano per attuare un primo vaglio della sua bontà;
- Applicazione e monitoraggio delle attività implementate.
Da cosa dipende il successo di un piano di change management?
La bontà di un piano di cambiamento può essere messa in discussione se le persone non sono convinte della necessità di cambiare. Si possono verificare tre ipotesi che riguardano i collaboratori e il loro livello di coinvolgimento:
- Il personale non ha compreso quali siano i vantaggi per l’adozione di un nuovo modello organizzativo, nuovi strumenti e tecnologie;
- La preparazione dello staff non è adeguata a supportare il cambiamento;
- Il change manager e il suo team non hanno convinto la resistenza al piano di change.
Si parla di modello ADKAR per evitare di trovarsi in una di queste 3 circostanze. Secondo questo strumento di analisi e implementazione si crea un linguaggio comune a tutti e si rendono consapevoli i membri del personale del fatto che parte della soluzione sono proprio loro.
A questo tema verrà dedicato un approfondimento puntuale che affronterà l’argomento anche dal punto di vista della psicologia, che per prima lo ha analizzato e reso utile alle organizzazioni per attuare il change management.
Conclusioni finali
Il temporary management oggi viene considerato il migliore alleato soprattutto per le aziende in crisi, sebbene il suo raggio di azione sia molto più vasto. In questo momento economico, che non possiamo considerare congiunturale, ciascuna azienda si deve chiedere se rimanere nel solco tracciato nel passato oppure iniziare a cercare nuovi modelli di riferimento.
Il change manager è una figura esterna all’azienda, interviene per questo preciso compito e in tal senso coincide con il temporary manager.
Il parallelismo tra queste due figure di attuatori dell’ammodernamento aziendale riguarda un preciso ambito, la portata del cambiamento. Il change manager interviene in un lasso di tempo non breve anche se definito dal piano e coinvolge tutta l’azienda in un regime di necessità ma non di urgenza.
Redazione Contract Manager