Molte sono le aziende di famiglia che sono passate di mano. Non c’è giorno che non si legga della vendita di un’azienda di famiglia ad un gruppo multinazionale, ad un fondo di private equity, ad un’azienda italiana più grande. E’ un cambiamento positivo o negativo? Fa parte dell’andamento normale delle cose o è la crisi definitiva del modello tutto italiano basato “sul piccolo è bello”? Ci sono così tante aziende di famiglia che non dobbiamo preoccuparci? E’ bene che entrino nuovi soggetti imprenditoriali, tipo i fondi di private equity?
Molti sono i nomi noti che negli ultimi mesi sono passati di mano: Fiorucci salumi, Aprilia, Momo, Enervit, De Fonseca, Spumador, ecc. Ma molte altre imprese meno conosciute sono entrate in crisi, hanno chiuso i battenti non avendo trovato un compratore o, se l’hanno trovato, ciò è avvenuto solo dopo il fallimento della società.
Il modello del ”piccolo è bello” è crollato definitivamente. Non vale più e non vale, perché la competizione è globale perchè nuovi e aggressivi concorrenti da Cina e India stanno rosicchiando sempre più importanti quote di mercato.
E piccolo vuol dire in Italia aziende di famiglia con la presenza di una o più famiglie di soci; con una, due o tre generazioni presenti in azienda contemporaneamente con 3/5/10 o 30 familiari nei posti di comando o comunque dentro all’azienda; spesso con familiari inadatti ai ruoli che ricoprono; con visioni difformi su obiettivi societari, strategie, investimenti; con obiettivi familiari che non coincidono con gli obiettivi e con le necessità strategiche di sviluppo della società; con risorse finanziarie scarse; con orizzonti di mercato locali o al massimo italiani; con pochi manager professionisti.
La voglia di rimanere sempre al comando fa invecchiare le nostre imprese di famiglia. Con l’invecchiamento dell’imprenditore invecchiano naturalmente anche i collaboratori, l’azienda perde energia, vitalità, innovatività e quindi invecchia anche il modello strategico di business.
Come l’azienda è figlia del suo tempo, così l’imprenditore deve essere in linea con il tempo che sta vivendo l’impresa. E’ molto probabile che il figlio imprenditore di 30/40 anni sia più in linea con i trend di mercato, con il modello di gestione e di business in voga oggi che non un imprenditore di 60/70 anni abituato a tutt’altre regole.
Il figlio sarà meno attaccato all’azienda, vedrà nuove minacce e nuove opportunità, si muoverà con maggiore libertà e creatività, si circonderà di manager professionali capaci, sarà più orientato verso accordi commerciali, verso acquisizioni in giro per il mondo, verso mercati e bisogni emergenti, non avrà paura di fare società o unità produttive all’estero, ristrutturerà le unità produttive in Italia e ricercherà nuove risorse finanziarie.
Così farà anche un gruppo che acquista un’azienda di famiglia: inserirà nuovo management, valorizzerà il marchio e le risorse valide, darà un orizzonte più ampio all’azienda puntando a nuovi mercati, innoverà i prodotti, integrerà nel proprio modello di business quello dell’azienda acquisita, metterà a disposizione nuova finanza, farà dei nuovi investimenti.
E così fanno i fondi di private equity, inseriscono nuovo management, danno vigore ai prodotti, fanno investimenti, valorizzano il patrimonio di competenze distintive dell’azienda.